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Fattore Donna

Stereotipi ed eccezioni

 di Emanuela Boccassini

L’uomo romano, sin dall’epoca arcaica, cerca di imporre alle donne un suo stereotipo comportamentale, creando dei modelli a cui tutte si devono adeguare per essere reputate “matrone virtuose”. Crea così personaggi, fittizi o reali, che incarnano le doti di onestà e integrità necessarie alla diffusione della giusta morale. 
I primi esempi sono offerti da Cornelia e da Lucrezia. La prima (madre dei Gracchi), è la moglie univira che durante tutto l’impero romano l’ideale maschile agogna. Ella è la moglie fedele anche dopo la morte del proprio marito, esibisce i figli come «i suoi gioielli», invece di ostentare ricchi monili. La seconda, per evitare l’uccisione e l’infamia di un «vergognoso adulterio» con uno schiavo nudo accanto al suo cadavere, subisce la violenza del re etrusco Tarquinio il Superbo. Davanti allo sguardo di marito e padre, dopo aver raccontato l’accaduto e aver ottenuto la promessa di vendetta, si suicida «perché in futuro, seguendo il suo esempio, nessuna donna viva disonorata».

Ottavia: il modello tradizionale femminile in epoca imperiale

Nel periodo imperiale Ottavia, moglie di Marco Antonio e sorella di Ottaviano, rappresenta il nuovo prototipo di donna. Naturalmente la propaganda augustea influenza le fonti che la dipingono come donna eccezionale accentuandone le doti fisiche e intellettuali. Ottavia, tuttavia, è l’esempio del “mos maiorum” romano: è «moglie e madre virtuosa, devota alla famiglia, anche a scapito della propria soddisfazione personale», che non abbandona la casa, cresce e guida le figlie, nonostante il comportamento dissoluto del marito. Inoltre Ottavia si presenta come la “tutrice” della «famiglia allargata» voluta da Ottaviano: accettando gli altri figli di Antonio (anche quelli avuti con la regina Cleopatra), aiuta il fratello a rafforzare e disporre la trasmissione del comando attraverso le adozioni. Questo ruolo permette a Ottavia di avere una posizione influente e di intervenire nella gestione del potere come consigliera e consanguinea.

Ortensia il simbolo dell’emancipazione femminile

Appiano (Guerre civili, 4, 32-34) e Valerio Massimo narrano di un evento alquanto straordinario avvenuto a Roma nel 42 a. C.: un discorso pubblico tenuto da una donna, Ortensia, figlia dell’oratore Q. Ortensio Ortalo. A causa di un provvedimento fiscale alcune facoltose matrone devono versare un «contributo» alle spese militari dei triumviri, stabilito in base al proprio patrimonio. Le signore romane, dopo avere cercato, invano, l’appoggio delle donne legate ai triumviri, sono costrette a una pubblica richiesta di esenzione. Così, scelta la loro portavoce, Ortensia si presenta dinanzi al tribunale e pronuncia il suo discorso. Con sagacia l’oratrice si concentra sui costumi romani e fa leva sulla «tradizionale ideologia maschile», basando la propria arringa sui diritti e doveri delle donne. Alla fine Ortensia riesce solo a diminuire il numero delle donne costrette a versare il proprio contributo, ma rappresenta la svolta delle donne all’interno del mondo romano presenziando al foro, luogo prettamente maschile.

Approfondimenti

Bibliografia

– E. Cantarella, “L’ambiguo malanno”, Editori Riuniti, 1981;
– F. Cenerini, “La donna romana”, Il Mulino, 2002;
– G. Duby-M. Perrot, “Storia delle donne. L’Antichità”, (a cura di) Pauline Schmitt Pantel, Laterza, 2002.

Articolo tratto da Ripensandoci

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Informazione

Questa voce è stata pubblicata il 2 marzo 2010 da in cultura, pensiero e azione delle donne, ripensandoci.